Azione di usucapione: la legittimazione spetta al Condominio?

Azione di usucapione: il Tribunale di Roma, con sentenza del 17 gennaio 2022 n. 588, si è espresso negando la possibilità per il Condominio di agire in giudizio per accrescere l’entità dei beni comuni.

La vicenda riguarda un Condominio romano che aveva agito di fronte al giudice per sentir dichiarare l’avvenuto acquisto per usucapione di una cantina dello stabile, formalmente di proprietà del convenuto.

Il Tribunale, dopo aver riassunto i fatti di causa, si è soffermato sul difetto di legittimazione attiva del Condominio.

Innanzitutto occorre fare una premessa. Come già affermato dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 21826 del 24 settembre 20131, la domanda di usucapione non mira alla difesa della proprietà comune, ma alla sua estensione. Ciò comporta, di conseguenza, non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche l’assunzione dei relativi obblighi ed oneri in capo ai condomini. Proprio per questo l’esercizio dell’azione di usucapione esorbita dai poteri deliberativi dell’assemblea e dai poteri di rappresentanza dell’amministratore.

Il Condominio, infatti, non è fornito di personalità giuridica autonoma e distinta da quella dei singoli condomini, ma deve considerarsi un mero ente di gestione. Tale orientamento è pacifico ed è stato più volte ribadito anche dalla Suprema Corte (a tal proposito si veda, per esempio, la recente Cassazione civile, sez. II, 06 ottobre 2021, n. 27080). Proprio per questo motivo la titolarità dei beni – siano essi in proprietà individuale oppure in proprietà comune – è affare che attiene esclusivamente alla sfera giuridica dei singoli condomini. Di conseguenza, nel caso deciso di fronte al Tribunale di Roma deve ritenersi correttamente esclusa la legittimazione attiva del Condominio.

A chi compete la legittimazione?

La legittimazione attiva, pertanto, spetterà ai singoli condomini, mentre il Condominio potrà agire solo e soltanto nelle ipotesi di mandato speciale rilasciato da ciascun condomino. Essendo tale ultimo requisito assente nel caso considerato, il Tribunale ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva.

Note

  1. A tal proposito si veda anche Cassazione civile, sez. II, 09 novembre 2020, n. 25014. Tale orientamento è inoltre avvalorato dalla Cassazione civile, 8 marzo 2017, n. 5833, ove si afferma che: a norma dell’art. 1131 c.c., l’amministratore ha la rappresentanza dei condomini nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c. o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio. Il limite della rappresentanza sostanziale dell’amministratore di condominio è dunque quello costituito dall’inerenza dell’affare alle “parti comuni” dell’edificio. Il contratto con cui un amministratore di condominio intenda assumere l’obbligo dei partecipanti allo stesso di sostenere le spese relative ad un bene non rientrante tra le parti comuni, oggetto della proprietà dei titolari delle singole unità immobiliari, a noma dell’art. 1117 c.c. […] suppone, pertanto, uno speciale mandato conferito all’amministratore da ciascuno dei singoli condomini, ovvero la ratifica del pari effettuata da ciascuno, sicché è irrilevante la spendita della qualità di amministratore condominiale, trattandosi di verificare la sussistenza di un potere di rappresentanza convenzionale estraneo all’ambito di operatività degli artt. 1130 e 1131 c.c.

Author: Dott.ssa Martina Epis

Dottoressa in LeggeCollaboratrice presso Studio Legale Caldana & AssociatiSede Unioncasa di Brescia e Provincia